Pubblico un intervento di Marta Baiardi, conosciuta ai tempi gloriosi dell'Autoriforma della scuola.
Dopo l’intervento di Nadia Urbinati del 6 maggio scorso su La Repubblica, contrario alla Buona Scuola renziana nel suo nucleo centrale
– scuola azienda che realizzerà compiutamente la privatizzazione della
scuola pubblica – mi aspettavo, se non un profluvio, almeno qualche
altra presa di posizione dei nostri intellettuali. Invece niente. Hanno
disertato. Storia italiana antica: anche questa volta spicca dunque il
silenzio dei chierici. Alla fine della fiera insegnanti, studenti e
sindacati, tranne qualche lodevole mosca bianca, nel dibattito pubblico
sulla riforma della scuola sono stati lasciati soli.
Dove sono
i filosofi, i letterati, gli scrittori, gli storici, i sociologhi, gli
scienziati? Che cosa pensano i nostri illustri accademici, seduti sulle
loro cattedre? Un silenzio assordante ha circondato questa riforma, il
che significa che il mondo della cultura italiano – tanto la cultura
scientifica, come quella “umanista” (Renzi docet) – non ha nulla da dire
su questo tema, centrale per il paese. Mi aspettavo che qualche
brillante linguista analizzasse, che so, quante volte ricorrono le
parole “cultura” o “alfabetizzazione” nel disegno di legge e in quale
accezione compaiano. O che qualche sociologo ci illustrasse in che senso
Renzi, occupandosi “soltanto” di organizzazione della scuola ne uccida
il nucleo profondo, quello della Costituzione: promuovere il pieno
sviluppo della persona umana, lo sviluppo della cultura e la ricerca,
rimuovere gli ostacoli, sostenere il diritto allo studio. Studio,
studio… si chiama studio quello che si dovrebbe fare a scuola.
Gli
intellettuali ne dovrebbero sapere qualcosa… Si sono chiesti se la
Buona Scuola lo ha a cuore? Hanno speso qualche ora del loro tempo per
capire quali sono le vere priorità di questa riforma e quale lo scopo di
quel linguaggio da marketing così caro al premier? Si sono chiesti
quale posto occupi nel DdL l’alfabetizzazione di base degli studenti?
Quale spazio ci sarà nella nuova scuola disegnata dal trio
Renzi-Faraone-Giannini per costruire alfabeti forti:
linguistico-matematico innanzitutto, proprio gli alfabeti dove i nostri
ragazzi sono quasi sempre messi malissimo? Mi chiedo davvero come mai
siano così mancate le analisi serie di questo testo renziano, come mai
nessuno abbia tentato un confronto tematico e di stile fra la Buona
Scuola del trio di governo e la LIP (Legge di iniziativa popolare)
promossa dall’interno del mondo della scuola e caduta nel più totale
oblio. Ma dove è finita la semiotica in questo paese?
Da tempo, si
sa, la ricerca ha reciso ogni legame con la scuola, anche in sede
istituzionale. Chi si ricorda più della libera docenza? La scuola ha
stufato, troppo incasinata, si capisce poco. E poi l’esperienza
autobiografica qui la fa da padrona: ognuno è stato a scuola e ognuno ha
figli e nipoti che ci vanno. C’è sempre qualche maestro inadeguato da
punire o qualche professore troppo severo che ha ferito il narcisismo
familiare da ricordare con rabbia. E così assistiamo impotenti e muti
alla campagna mediatica di Renzi. L’ultimo spettacolino, dismesse le
slide, è il video davanti alla lavagna, tipo maestro Manzi. Seguono
articolesse di colore su stampa e TV, che trasudano ampia ammirazione
per le capacità comunicative del premier. Ma sul merito pochi si sono
avventurati davvero e sempre con grande timidezza. I conti delle riforme
della scuola arrivano dopo decenni, quando maturano le generazioni.
Molti di noi non ci saranno più, ma porteremo tuttavia la responsabilità
di questa devastazione ignorante.
Marta Baiardi
L’autrice è insegnante di scuola secondaria
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